Nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato 4 decreti (o DPCM) che intervengono sulle modalità di accesso allo smart working. Cerchiamo di tirare le somme dell’esperienza dello smart working in Italia ai tempi del COVID e chiediamoci: sta davvero funzionando? Capiamolo assieme (fonte: Ministero del Lavoro).
Che cos’è lo smart working?
Se in italiano il significato di Smart Woking è “lavoro intelligente”, l’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce ”una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, lo Smart Working si innesca in un percorso di profondo cambiamento culturale e richiede un’evoluzione dei modelli organizzativi aziendali, per cui si deve prevedere una roadmap dettagliata fase per fase, nonchè una formazione graduale ad hoc. Formazione che, tra l’altro, comprende la fornitura di strumenti tecnologici adeguati che consentano la protezione dei dati personali e delle aziende.
Che vantaggi ha lo smart working?
In una recente ricerca è stato evidenzato che “la flessibilità dello smart working aumenta la produttività dei lavoratori e il bilanciamento vita-lavoro”. A parità di ore lavorate, chi lavora in smart working è stato più produttivo, oltre a risultare anche più soddisfatto di chi invece lavora in condizioni ‘non-smart’ (fonte: Ricerca dell’Università Bocconi). Di seguito sono elencati i principali vataggi e svantaggi del lavoro agile:
I vantaggi principali sono:
- maggiore flessibilità (orari di inizio e fine più elastici),
- migliore qualità della vita per il lavoratore (gestione più facile di impegni extra lavorativi),
- abbattimento dei costi per le aziende (risparmio su postazione lavorativa ed energia),
Gli svantaggi, invece:
- abbattimento del confine vita privata/lavoro (reperibilità continua anche dopo l’orario di lavoro),
- isolamento sociale (mancanza di contatto vis-a-vis con i colleghi),
- mancanza di controllo (alcuni lavoratori potrebbero approfittarne).
Come il COVID ha cambiato lo smart working in Italia
Il 90% delle grandi imprese e il 73,1% delle imprese di dimensione media hanno introdotto o esteso lo smart working durante l’emergenza Covid-19 (fonte: Istat).
D’altra parte, in corrispondenza dell’arrivo del COVID, è aumentato in maniera esponenziale l’interesse nei confronti dello smart working; nello specifico, il lavoro agile ha spopolato nelle regioni e città più produttive d’Italia (fonte: PXR Italy).
Come rileva l’indagine “Infojobs Smart Working 2020”, il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai collaboratori di proseguire il lavoro da remoto. Il 64,5% delle aziende ha dichiarato che i dipendenti hanno apprezzato questa decisione e che 1 azienda su 4 ha avuto contraccolpi sulla produttività (fonte: Digital4).
Lo smart working sta davvero funzionando? Alcuni dati
Uno studio di Cgil e Fondazione Di Vittorio parla di un aumento di 7,5 milioni di persone che lavorano in smart working da marzo 2020. Una rivoluzione avvenuta senza preparazione, con i tempi stretti dettati dall’emergenza sanitaria.
Guardando alle criticità riscontrate nell’avvento dello smart working ai tempi del COVID, innanzitutto spiccano i problemi di tipo organizzativo (per il 44% dei lavoratori) per mancanza di supervisione e controllo sul lavoro del personale e di tipo relazionale (per il 42% dei lavoratori; a mancare è il confronto quotidiano e il lavorare fianco a fianco (fonte: Digital4).
L’indagine Cgil/Fondazione Di Vittorio, condotta attraverso un questionario online compilato da 6.170 persone ha rivelato che il 60% degli intervistati vorrebbe proseguire l’esperienza di smart working anche dopo l’emergenza. Le donne sono meno convinte e gli uomini più propensi. Per le donne, infatti, questa modalità di lavoro è infatti “più pesante, complicata, alienante e stressante” (fonte: Agi).
Solo nella pubblica amministrazione, più di 1 lavoratore su 3 ha difficoltà a mantenere relazioni sociali con i colleghi e vive un’esperienza di isolamento lavorativo; d’altra parte 1 lavoratore su 5 fatica a conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative. Infatti per oltre il 34% dei lavoratori della pubblica amministrazione la maggior flessibilità oraria si è tradotta in un incremento del tempo di lavoro.
L’IBM, pioniera del lavoro da casa, che nel 2009 per il 40% dei propri dipendenti ha introdotto questo tipo di soluzione, già nel 2017 ha rivisto al ribasso le proprie aspettative entusiastiche sullo smart working, riportando in sede i dipendenti. Il motivo? Il management si rese conto che la produttività aumentava quando esistevano occasioni di incontro fra colleghi.
Perchè in Italia lo smart working non sta funzionando come dovrebbe?
Ecco quindi il perchè in Italia lo smart working non sta funzionando come dovrebbe: il COVID (ed il conseguente lock down) ha portato all’isolamento sociale e all’abbattimento dei confini vita privata-lavoro in modo forzato, improvviso e senza una chiara prospettiva di termine. Dalla sua, lo smart working si impone come una modalità di lavoro basata sull’abbattimento dei confini vita privata-lavoro e su un’assottigliamento delle relazioni sociali e lavorative.
In definitiva, il benessere personale dei lavoratori è stato messo a dura prova; per usare una metafora, possiamo dire che se lo smart working è stato il martello, il COVID è stato il chiodo su cui battere. E sotto al chiodo, come un’asse di legno, il benessere personale dei lavoratori italiani.
Conclusione
Risulta necessario specificare che esiste uno stretto legame tra benessere psicologico e qualità della prestazione lavorativa (fonte: Adapt publications). A sottolineare che lo smart working deve avere come obiettivo fondamentale il benessere del lavoratore, prima ancora del tasso di produttività individuale; per concludere, il lavoro agile si configura come un’ottima occasione di miglioramento per l’industria italiana, come indicato da alcune promettenti statistiche (fonte: Informazione Fiscale).
Detto ciò, si evidenziano delle lacune ancora troppo profonde per poter considerare un successo l’esperimento dello smart working durante il COVID. È chiaro che l’Italia necessita ancora di tempo, risorse e formazione per entrare nell’era dello smart working.